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Lasciare che la luce invada la giornata

  • Immagine del redattore: María Luz Peña
    María Luz Peña
  • 19 ore fa
  • Tempo di lettura: 4 min

Un giorno di fine settembre, 2024.

Oggi sembra esserci il sole. Questo, ironicamente considerando che gli ultimi tre mesi sono stata in un paese bollato da tutti come “tropicale”, è stato il mio primo anno senza estate. Sono partita a fine giugno e tra poco, alla fine dell’inverno brasiliano, riparto.  Mentre mi asciugo i capelli, una canzone del nuovo album di Liniker cattura la mia attenzione. “Tomara que hoje faça um dia de sol e se houver neblina que eu seja um sol interno”, (Spero che oggi ci sia il sole, e se dovessero esserci nuvole, che io possa essere un sole interiore). Penso ai bambini della mia scuola, dove tra poco andrò, a cui darò il buongiorno mentre entrano allegri salutando Nana, la portinaia. Che io possa essere sole per loro, mi ripeto.


Sono a Florianopolis, in uno stato nel Sud del Brasile. Una mia amica brasiliana, prima di partire, mi aveva raccontato con estasi di come quello fosse uno degli stati brasiliani più sviluppati economicamente, dove l’economia e i soldi girano, dove c’è lavoro e dove ci sono un sacco di turisti. In maniera disillusa mi sono chiesta tra me e me cosa andavo a fare lì allora. Mi sono bastate ventiquattr’ore nella città per ricordare a me stessa che sviluppo e progresso non significano equità e benessere per tutti, e realizzare che, per complesse stratificazioni sociali, economiche e razziali, c’è tanta gente che viene lasciata indietro anche in città come Floripa.



Vivo a Mont Serrat, un morro che risponde all’immaginario europeo della povertà brasiliana. Qui, la scuola sociale Marista Lucia Mayvonne, dove sto facendo volontariato come educatrice, fornisce un’educazione integrale ai bambini e ragazzi dai 6 ai 18 anni che vivono in condizioni di povertà. Ma questa non è una semplice scuola, è un posto della comunità, dove con il tempo si sono costruiti percorsi, intrecciate reti, sviluppati progetti e innescati cambiamenti. Mai ho provato pietà qui, solo un profondo senso di ammirazione nei confronti di tutte quelle persone che lavorano ogni giorno per portare cambiamenti positivi, credendoci nel profondo.



Ogni giorno conosci un pezzettino nuovo, un professore nuovo, un bambino nuovo, una situazione familiare che il giorno prima ignota e piano piano si delinea la città, la comunità. E così, settimana dopo settimana sto imparando a conoscere questa terra e questa realtà con le sue contraddizioni, complessità e bellezze. Ho scoperto l’importanza degli aquiloni e quanto il Brasile è grande, ho visto alcuni dei migliori tramonti della mia vita giocando in piazza con i bambini e dipinto con loro le storie del folklore.


Ma come ogni viaggio, non è sempre stato tutto immediato, e specialmente le settimane dopo il Genfest non sono state facili. La pioggia mi rendeva difficile uscire dal morro dove vivevo, convivevo con la frustrazione di parlare una lingua che non padronavo (e per me, da grande chiacchierona, essere limitata nel parlare è una condanna). Piccole delusioni e difficoltà nel cambiare modo di vivere e una brutta parotite che mi sono presa si sono aggiunte alla difficoltà di vivere diversi mesi lontano dai miei amici, da chi amo e dalla mia famiglia. E in più, la fatica di tornare ad una routine dopo aver vissuto tre settimane incredibili di Genfest dove tutto era festa, amicizia ed emozione. 


Un giorno poi, parlando con chi mi ospitava, abbiamo letto questo passo di Chiara Lubich.


“Lasciare che la luce invada la giornata”


[…] Quando le ombre dell’esistenza ci rendono incerto il cammino, quando addirittura fossimo bloccati dall’oscurità, questa Parola del Vangelo ci ricorderà che la luce s’accende con l’amore e che basterà un gesto concreto d’amore anche piccolo (una preghiera, un sorriso, una parola), a darci quel barlume che ci permette di andare avanti. Quando si va in bicicletta di notte, se ci si ferma si piomba nel buio, ma, se ci si rimette a pedalare, la dinamo darà la corrente necessaria per vedere la strada.[…]


Queste parole hanno scosso qualcosa in me. Qualcosa che mi diceva: “continua a pedalare, continua ad amare e la luce verrà!”. Questo invito mi ha accompagnato nelle settimane che passavano e ha riempito i miei giorni di momenti preziosi, occasioni per volere bene a questa comunità, generando luce. Mi ricordo che in quelle settimane un po’ più “nuvolose”, facevo fatica a rimanere a scuola il pomeriggio, mentre adesso non mi rendo conto delle ore che passano, e anzi, mi devo costringere ad andare via perché altrimenti rimarrei a scuola fino a sera. 


Ad aiutarmi in questa ‘pedalata’ è stato anche vedere l’amore che già mi circondava: tra gli insegnanti e il personale della scuola, che con tanta dedizione seguono i ragazzi pensando alle necessità di ognuno; tra i membri del gruppo pastorale con cui lavoro per la cura che ciascuno mette in ciò che fa; nella comunità di Mont Serrat stessa e in tutti i progetti sociali nati e sviluppati da chi abita qui; e tra i focolarini e la comunità del movimento dei focolari della città che mi ha accolto. Questo amore era presente in tante persone. 




Tra pochi giorni tornerò a casa. Sono grata a questo posto, a queste persone. Quanto vorrei vedere crescere questi bambini e ragazzi che ho incontrato questi mesi qui, essere insieme a loro mentre sviluppano quella gentilezza e attenzione che spesso vedo dietro i loro occhietti vispi. Io forse non ci sarò, ma voi, prossimi volontari e volontarie, potrete farlo, continuando ad aiutare questa meravigliosa comunità a generare la luce di cui questo posto ha bisogno. Che possiate anche voi essere sole per gli altri.


Sara Cason



 
 
 

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